Con i soldi delle "Nostre Autostrade"

 

 

 

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CON I SOLDI DELLE "NOSTRE AUTOSRADE"

 

Cari amici, vorrei portare all’attenzione dei vostri ragionamenti un’articolo proposto su “Finanza e mercati” del 24 giugno 2008.  Questi bravi economisti mettono in evidenza ciò che agli occhi di molti (e alla luce di conti matematici) sembra essere un reiterato regalo per pochi eletti a scapito dei soliti malcapitati cittadini, utenti di servizi che dello Stato Italiano (ovvero NOI) ci fornisce.

Si parla di uno dei più prolifici business ITALICI: Autostrade.

Milioni di euro che potevano finire nelle povere casse statali per contribuire ad abbattere parte dell’enorme deficit pubblico e dei colossali interessi passivi che questo produce.

Un regalo che rischia di finire nel dimenticatoio perché non correttamente evidenziato dalle varie testate di giornali e telegiornali che anche in questo caso hanno peccato di “scarsa informazione” . 
Il tutto grazie a una convenzione che il governo ha deciso di approvare con urgenza (con troppa urgenza).
Questi bravi economisti vi danno tutti i numeri del "fattaccio". Vi prego di leggere attentamente.

L'articolo è un po' ostico, ma vale la pena di fare un piccolo sforzo.

In ultima analisi vale la pena ricordare che Benetton è uno dei 16 imprenditori italiani che partecipa alla cordata CAI per l’acquisto della parte buona anzi ottima di Alitalia.
 

  Video di Giorgio Ragazzi che approfondisce ulteriormente la problematica.



 

CHI SI RIVEDE AL CASELLO? IL MONOPOLISTA
di Angela Bergantino , Marco Ponti e Giorgio Ragazzi 10.06.2008


Il sistema regolatorio del settore autostradale consegnatoci dal decreto 59 segna la fine di ogni aspirazione a un sistema incentivante ed è un insieme caotico di diversi regimi. Andrebbe rivisto dalle fondamenta. Serve un sistema di regole certe e trasparenti, che siano di garanzia per lo Stato e i consumatori, oggi la parte più debole, e per gli investitori. Serve una cultura istituzionale che le metta al riparo dagli attacchi a colpi di decreto, secondo le pressioni del momento. E serve un organismo indipendente che le applichi e vigili sulla loro osservanza.

L’approvazione in Senato della legge di conversione del decreto legge n. 59 dell’8 aprile 2008 segna la fine di ogni aspirazione a un sistema incentivante di regolamentazione del settore autostradale.
L’approvazione ex-legge della nuova convenzione con Autostrade per l’Italia (Aspi), inserita all’articolo 8 duo decis, cancella in un colpo solo anni di dibattito e di faticosi tentativi di dotare il paese di una moderna regolamentazione delle tariffe autostradali. Il Nars, unico organo tecnico preposto alla tutela degli utenti in assenza di un’autorità regolatoria di settore, viene messo definitivamente fuori gioco, così come il Cipe e gli organi dei ministeri competenti. Ci si può aspettare che si finirà per cedere su tutta linea, anche negli altri settori dei trasporti.

IL SISTEMA INCENTIVANTE

Fin dagli anni Sessanta, quando si costruiva l’attuale rete autostradale, si era previsto che gli utili eccedenti una modesta percentuale del capitale investito fossero devoluti allo Stato. Nel 1996 con l’introduzione del price cap il criterio veniva perfezionato in direzione dell’incentivazione dell’efficienza. Sebbene anche il nuovo regime garantisse al concessionario un rendimento “congruo” sul capitale netto investito, riducendo drasticamente i rischi industriali e commerciali per gli investitori e avvicinando il meccanismo del price-cap a quello del rate-of-return, con conseguenze negative sul terreno dell’efficienza e dell’equità, la possibilità di trattenere i profitti ottenuti per tutto il periodo regolatorio lo spingeva ad attuare comportamenti virtuosi di riduzione dei costi. Nel periodo successivo, attraverso la taratura del parametro X, i benefici in termini di minori costi venivano tradotti in tariffe più basse per i consumatori. Il nuovo regime, in realtà, successivamente al primo periodo regolatorio, non ha mai trovato concreta applicazione per Aspi.
La convenzione appena ratificata per legge, siglata tra Anas e Aspi nell’ottobre del 2007, stravolge l’impianto regolatorio del 1996. Gli effetti devastanti del documento erano stati in parte segnalati dal Nars con il parere n. 10/2007. La convenzione prevede l’indicizzazione della tariffa, per i prossimi trenta anni, all’inflazione effettiva, alla quale si aggiungono i parametri di remunerazione degli investimenti. Prevedere un incremento annuo non inferiore al 70 per cento dell’inflazione produce il paradosso “di un cap soggetto a un cap”: la X non può superare il 30 per cento dell’inflazione effettiva. L'incidenza del parametro X viene, dunque, in gran parte vanificata. Ma non basta.
La logica incentivante sottostante al price cap viene ulteriormente indebolita con l’estensione del periodo regolatorio all’intera durata della convenzione, fino al 2038. E pensare che ci eravamo tanto preoccupati quando, nel 2004, si estese il periodo da cinque a dieci anni. Scompare ogni considerazione, dunque, per il livello dei profitti e per la loro congruità rispetto al capitale investito. I ricavi futuri del concessionario vengono fatti dipendere esclusivamente dall’incremento del traffico che è una variabile esogena, non controllabile da parte dell’azienda. L’impossibilità di rivedere periodicamente le tariffe preclude che eventuali benefici dell’efficienza del gestore o dell’aumento del traffico, siano trasferiti agli utenti. Sono destinati a tramutarsi in rendite monopolistiche.

LA LOGICA DELLA SCOMMESSA

È la logica della “scommessa”: si fissano regole automatiche per la variazione delle tariffe che restano per tutta la durata della concessione, quali che siano il livello di redditività del concessionario e la sua capacità di efficientamento. Si sono avuti altri esempi, anche recenti, in cui l’obiettivo di massimizzare gli introiti a breve è prevalso sulla tutela degli utenti nel lungo periodo. Ma in questi casi alle concessionarie sono stati fatti pagare prezzi molto salati. La spagnola Abertis si è recentemente assicurata, per 75 anni, la concessione della Pennsylvania Turnpike con la garanzia di tariffe indicizzate al 100 per cento, con un minimo del 2,5 per cento l’anno, indipendentemente dalla redditività. Per questa scommessa Abertis ha però pagato circa 14 miliardi di dollari, cioè 23 volte i ricavi attuali (non l’utile) e circa 18 milioni di dollari al chilometro.
Invece, il prezzo pagato per Autostrade per l’Italia risultò pari a meno di 4 volte i ricavi e a circa 2,8 milioni di euro al chilometro. Si disse che era basso perché la convenzione non assicurava tariffe certe per i successivi quaranta anni, prevedendo piuttosto la possibilità di una loro riduzione tramite il parametro X, allo scadere del periodo regolatorio. Oggi, il “rischio” è venuto meno e gli investitori hanno la certezza, ex-ante, che indipendentemente dalla capacità di efficientamento della società, quindi di riduzione dei costi, e della performance dei principali concorrenti, la componente negativa del price-cap, ossia quella che potrebbe ridurre le tariffe per gli utenti, sarà funzione unicamente dell’inflazione e, in particolare, potrà variare esclusivamente in un range compreso tra lo 0 e il 30 per cento di essa. E tutto questo senza aver dato alcuna contropartita allo Stato e avendo già, in pochi anni, moltiplicato per sei volte il valore dell'investimento.
Il sistema regolatorio del settore autostradale che ci consegna il decreto 59 è un insieme caotico di diversi regimi: quello di Aspi, quello delle concessionarie che hanno mantenuto il sistema del price cap e il riferimento all’inflazione programmata, quello della concessionarie che non hanno finora firmato la concessione. Andrebbe rivisto dalle fondamenta. Serve un sistema di regole certe e trasparenti, che siano di garanzia sia per lo Stato e i consumatori, la parte oggi più debole, sia per gli investitori; serve una cultura istituzionale che le metta al riparo dagli attacchi a colpi di decreto, secondo le pressioni del momento; serve infine un organismo indipendente che le applichi e vigili sulla loro osservanza.


 


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